All’inizio degli anni ’70, a Hong Kong, si era conquistato un posto di rilievo un gangster venuto dalla Città Murata, un venditore abusivo di porridge in uno dei tanti vicoli putridi di quella zona dove l’unica legge era quella imposta dalla mannaia, l’utensile più comune nel dirimere le controversie. Il suo nome era Ng-Sik-Ho detto “Limpy Ho”, Ho lo Zoppo, un personaggio diventato leggendario negli ambienti della malavita di Hong Kong.
Approfittando della momentanea crisi dei 14K, Limpy Ho salì tutti i gradini della Triade Ye Kwan sino a diventare un Capo della Collina. Nel giro di quindici anni era diventato il più potente signore della droga del Sudest asiatico. La sua organizzazione tesseva una rete che arrivava da Hong Kong sino a Singapore, ma soprattutto a Bangkok e a Saigon, nei locali di Patpong e Tu Do Street dove i G.I. americani venivano a cercare svago durante i periodi di R&R, Riposo e Ricreazione, nei locali popolati da un esercito di prostitute, ma anche di spacciatori pronti a regalare le prime dosi di eroina - generalmente la Numero 3 che si poteva anche fumare - per creare il mercato.
In seguito sarebbero passati agli omaggi di Lao Green, la pregiatissima marijuana laotiana, e qualche siringa di China White, che si poteva prendere solo per endovena ma che assicurava un’assuefazione quasi immediata. Fu in quel modo che, per finanziare la guerra segreta della CIA in Laos e Cambogia, le Triadi di Hong Kong entrarono nel mercato internazionale dell’eroina espandendosi verso gli USA e il Canada.
Erano, tuttavia, al lavoro altre forze che non vedevano di buon occhio la sfolgorante carriera di Limpy Ho che, nel 1974, fu arrestato e condannato a trent’anni senza possibilità di riduzioni di pena. Il patto di corruzione che legava la mala alla polizia e ai giudici questa volta non aveva funzionato.
Dietro a tutto c’erano i servizi segreti di Taiwan e i loro alleati dei 14K che, se pure avevano rinunciato a una supremazia sulle Triadi, avevano stretto saldi legami con i Chiu Chaw ed erano ben decisi a eliminare Limpy Ho dal mercato.
Alla vicenda fu dedicato qualche anno fa anche un ottimo film di Poon Man Kit, regista forse non molto prolifico, ma estremamente accurato nella ricostruzione delle vicende della mala del suo paese. To Be the Number One riassume con una colorita espressione gergale della mafia di Hong Kong tutta la saga di Limpy Ho, personaggio forse un po’ romanzato e al quale viene attribuito un pentimento finale non troppo credibile, ma che, per il resto, risulta assolutamente realistico.
Era finita l’epoca dei gangster con le lunghe palandrane d’inizio secolo. I nuovi boss s’ispiravano ai Don siciliani, giravano per locali notturni in abiti gessati con vistose catene d’oro, auto di lusso, sigari cubani e belle ragazze raccolte a stuoli. Quello fu il sogno di Ho, il povero venditore di porridge della Città Murata, lo Zoppo che diventò un re e cadde senza potersi più rialzare. La sua nemesi aveva il viso di altri due spietati gangster nati nei bassifondi della Città Murata, di origine Chiu Chiaw: i fratelli Ma.
Ma-Sikyu e Ma-Sikchun erano poco più che “cavalli”, picchiatori da strada di quegli stessi vicoli dove Ho aveva iniziato vendendo cibo abusivamente. Dapprima si legarono alla Triade del loro paese d’origine, Swatow, quindi si affiliarono ai 14K senza far mistero della loro simpatia per il governo nazionalista.
Vero o falso, l’ardore patriottico li portò presto a salire di categoria, da picchiatori a guardie del corpo nei bordelli e nelle sale da gioco, si recarono più volte a Taiwan dove ebbero incontri con i capi dei servizi segreti locali che diedero loro fondi e fiducia. A Hong Kong Ma-Sikyu, il più anziano, fondò addirittura un giornale, l’Oriental Daily News, che divenne il più importante quotidiano pro-nazionalista stampato in lingua inglese della colonia. Attraverso il giornale e i suoi contatti i servizi segreti di Taiwan furono in grado di creare una rete di spie che copriva tutto il Sudest asiatico.
Nel frattempo il giovane Ma-Sikchun diventava l’idolo dei night a Hong Kong e a Macao, nuova capitale del gioco d’azzardo orientale, conquistandosi il soprannome di Ma “d’Oro”. Non si limitava a fare la bella vita, però. Eliminato Ho lo Zoppo, il giovane Ma cominciò una fitta serie di viaggi che lo riportarono in contatto con il generale Li in Indocina, con gli Hakka a Chiang Mai e a Yaowarat, il quartiere cinese di Bangkok. A Colon, presso la comunità Chiu Chiaw, in Vietnam dove ebbe la possibilità di agganciare rapporti con gruppi criminali che inserì nel traffico, in particolare i Saigon Cowboys, una delle bande più violente della città. Grazie al Ma d’Oro furono ripresi i contatti con le famiglie mafiose di Santo Trafficante di Miami e di Anthony Turano, rappresentante di una delle potentissime 5 cosche di New York. Di più, fu riattivata la connessione con i corsi, in particolare con il boss Auguste Richord di Marsiglia e fu persino avviato un nuovo canale che introduceva l’eroina China White negli USA attraverso il Messico.
L’unico colpo che non gli riuscì fu quello di stabilire un contatto con la Yakuza giapponese, la mafia di Osaka. La trattativa avviata nel 1971, forse in una fase prematura, non andò mai in porto.
Non importava, grazie al fratello e all’appoggio dello United Bamboo Syndacate, nel 1977, il più anziano dei Ma si era guadagnato il titolo di Ma “Polvere Bianca”, signore incontrastato della droga a Hong Kong dove ormai, soprattutto nei Nuovi Territori e sulle isolette circostanti, erano sorti laboratori chimici clandestini in cui si poteva raffinare la China White allo stadio 4.
Ma se alla CIA e a Taiwan tutto ciò poteva anche andar bene, con il termine del conflitto vietnamita, l’Occidente si trovava a dover fronteggiare un problema gravissimo di circolazione dell’eroina nelle grandi città occidentali. La DEA - la Droug Enforcement Administration, creata nel 1973 - aveva finalmente fondi e autorizzazioni per agire con efficacia e pure la polizia di Hong Kong cominciò a occuparsi seriamente del problema creando un ufficio apposito, l’Organized Crime and Triad Bureau, l’OCTB sulle avventure del quale Kirk Wong girò un bellissimo e realistico film qualche anno fa.
I fratelli Ma avevano fatto il loro tempo e, alla fine degli anni ’70, furono il bersaglio di una violenta campagna anticrimine che portò ad azioni decise, rastrellamenti, regolamenti di conti tra i quali ricordiamo il celebre incendio del ristorante Jumbo ad Aberdeen, avvenuto durante una riunione di Capi della Collina.
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