I punti in comune fra il ladro gentiluomo e Sherlock Holmes sono fin troppi: Lupin è un maestro del travestimento («Io stesso non so più bene chi io sia. In uno specchio non mi riconosco più» confessa ne L’arresto di Arsenio Lupin), intelligente e deduttivo ma la cosa più importante è che le sue imprese sono narrate dall’amico, “io narrante” delle storie che si cala perfettamente nel ruolo di novello Watson. (Proprio come le vicende del ladro gentiluomo Raffles sono narrate dall’amico complice Bunny.) Lupin e Holmes tornano a scontrarsi ne Il diamante azzurro, ma parliamo del periodo dopo-veto e Leblanc non può più usare il nome del personaggio di Conan Doyle, quindi lo scontro è con Herlock Sholmès.
«C’è un uomo capace di combattere Lupin e di vincerlo. Signor Ganimard, le dispiacerebbe se noi chiedessimo l’aiuto di Herlock Sholmès?» La proposta è davvero indecente: chiedere alla parodia se si può scansare per lasciar spazio al titolare! «Il vecchio Ganimard non ha abbastanza forza per lottare con Arsène Lupin» è lo sconsolato commento dell’ispettore. «Herlock Sholmès ci riuscirà? Lo auguro, perché ho per lui la più grande ammirazione. Però è poco probabile... Secondo me un duello tra Sherlock Holmes e Arsène Lupin è una cosa già anticipatamente decisa. L’inglese sarà battuto.» Non è difficile sentire un po’ di veleno dietro queste parole.
Così il fenomenale investigatore di Parker Street, 219 – ebbene sì, questo è l’indirizzo di Holmes nel mondo di Lupin! – viene tirato in ballo e in Herlock Sholmès apre le ostilità lo troviamo in uno scontro che esula sin da subito dal semplice ambiente letterario. «Arsène Lupin contro Sherlock Holmes!... La Francia contro l’Inghilterra. Trafalgar sarà finalmente vendicato!»
Ma non solo i due grandi personaggi si incontrano nel racconto, bensì anche i loro relativi biografi: il Watson inglese e quello (senza nome) francese. Tutti e quattro si ritrovano a tavola, in un momento di tregua, a pranzare amabilmente, eppure Leblanc non disdegna qualche stoccatina. «Quasi cinquantenne, [Sholmès] somiglia a un buon borghese che avrebbe passato la vita dinanzi a uno scrittoio, a tenere dei libri contabili»: non certo il ritratto di un eroe... Ma la finzione letteraria non finisce qui, perché per descriverlo afferma «Si direbbe che la natura si sia divertita a prendere i due tipi di poliziotto più straordinari che l’immaginazione abbia prodotti, il Dupin di Edgar Poe e il Lecoq di Gaboriau, per costruirne uno a suo modo, ancora più straordinario e più irreale.» Insomma, citando i celebri antenati del personaggio di Conan Doyle il buon Leblanc continua a divertirsi a prendere in giro facendo finta di lodare.
«Ci si chiede veramente, quando si sente il racconto di quelle imprese che l’hanno reso celebre in tutto il mondo, se anche lui, Herlock Sholmès, non sia un personaggio leggendario, un eroe uscito vivo dal cervello d’un grande romanziere, d’un Conan Doyle, per esempio». Malgrado la diffida del padre di Holmes, Leblanc si diverte un mondo a giocare con personaggio e autore.
Come se non bastasse nel 1915, dopo l’arrivo in Inghilterra delle imprese di Lupin, i giornali per l’infanzia si riempiono di storie firmate da Peter Todd (pseudonimo del londinese Charles Harold St. John Hamilton) con protagonista proprio Herlock Sholmes, affiancato dall’inseparabile amico Jotson.
Ma la vera beffa per Doyle – e soddisfazione per Leblanc – arriva proprio in Francia nel 1908, subito dopo il veto. L’umorista Pierre Henri Cami si diverte ad inventare brevi testi teatrali umoristici con protagonista un investigatore pasticcione e incapace: Loufock Holmès, le détective idiot. Non gli mancherà la nemesi in Spectras, criminale abile nei travestimenti con cui se la vedrà in una storia dal titolo esemplare: Spectras contre Loufock Holmès.
Se Conan Doyle si è infuriato per il frizzante Holmes di Leblanc, cos’avrà pensato dell’idiota Holmès di Cami?
«Se le capita di affrontare Arsène Lupin, abbandoni la partita. È sconfitto in anticipo»: parola di Sherlock Holmes... pardon, di Herlock Sholmès (da L’ultimo amore di Arsène Lupin). «Con Ganimard, con Herlock Sholmès, mi sono divertito, come con dei fanciulli»: parola di Lupin (da Il faraglione cavo). Più Conan Doyle si infuria più Leblanc diventa irriverente, facendo sì che Sholmès stimi Lupin mentre quest’ultimo lo considera un fanciullo. Addirittura giunge a chiamare Sherlock il suo cane! (ne La doppia vita di Arsène Lupin)
Lo scontro fra i due è inevitabile ma quasi obbligatoriamente mancato: va bene prenderlo in giro, ma battere Sherlock Holmes è davvero troppo anche per Leblanc, e solo alla fine si avverte il profondo rispetto dell’autore francese, che mette in bocca a Lupin un aggettivo particolare per descrivere Sholmès: maître, maestro. « Vede, maestro, qualunque cosa facciamo, non saremo mai sulla stessa sponda. Lei è da una parte del fossato, io dall’altra». Con questa dichiarazione di intenti Leblanc chiude il discorso con l’avversario Conan Doyle così come con i rispettivi personaggi: «Toujours vous serez Herlock Sholmès, détective, et moi Arsène Lupin, cambrioleur» Uno sarà sempre un detective, l’altro un ladro.
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