Da La Triade di Shanghai a Lacrime di Drago, l’universo del Professionista si intreccia con quello delle società segrete cinesi. In L’ombra del Corvo apprendiamo anche che Bruno Genovese è affiliato al complesso labirinto di organizzazioni segrete pur essendo un bianco. La famosa Sezione 8 che ritroviamo in tante avventure del prof è una sorta di Triade. Ma cosa c’è di reale in tutto questo. Come sempre fantasia e storia si mescolano dopo un’accurata ricerca storica. E tutto parte, come sempre, da quel Porto Fragrante che fu colonia inglese sin dal 1841 e poi per 99 anni sino a quella famosa notte che abbiamo affrontato in Morire a Kowloon.
Hong Kong come ultima frontiera, un avamposto nel quale, dietro a ogni porta del quartiere arroccato sulla collina che parte dalla centralissima Des Voeux Road si cela un mistero. Di certo per quel sentiero ripido e profumato di cibi cotti e consumati all’aperto si arriva a Ladder Street, nota anche come Cat Street, che viene eufemisticamente definita la via degli antiquari. Ve ne sono certi, titolati e carissimi, che vendono paraventi e quadri di nudi che potrebbero essere frutto dell’opera di quell’Aristotele Quence che James Clavell ha così abilmente descritto in Taipan. Questa stradina lastricata in cui si circola solo a piedi è nota, tuttavia, anche con un altro nome: il Mercato dei Ladri. In effetti sembra vera la diceria che qualsiasi cosa rubata al ricco turista (dai gioielli alla videocamera) possa venir recuperata qui per un prezzo equo, se si ha la pazienza di frugare tra le bancarelle dei negozietti meno sontuosi. Tra una cancellata che s’affaccia su un cortiletto angusto e un’altra scala, troviamo merci esposte su banchetti senza un criterio preciso, proprio come farebbe un ricettatore senza grande esperienza o un mercante che, con singolare saggezza, sa attribuire il giusto valore alle cose ponendole tutte sullo stesso piano. Assieme alle statuine in resina di Bruce Lee, alle riproduzioni dei maghi della montagna di Sung, troviamo vecchi berretti dell’amministrazione inglese, copie del Libretto Rosso (è veramente minuscolo...) ormai diventato una curiosità per turisti e persino una “figlia del dottore”. Si tratta di una statuina in avorio raffigurante un corpo femminile discintamente disteso su un cuscino. Nei tempi antichi serviva ai medici per visitare le pazienti senza doverle imbarazzare chiedendo loro di spogliarsi.
La pudica signorina indicava sulla statuina il punto dove avvertiva dolore e il medico le ordinava una cura a base di balsami ed erbe. C’è qualcosa comunque di stravangate, di peccaminoso, in questo rapporto a distanza e basta sfiorare con il polpastrello il ventre d’avorio della “figlia del dottore” per comprendere.
C’inoltriamo in una Hong Kong canagliesca in direzione di una delle tappe obbligate della nostra ricerca. Ancora una rampa di scale e arriviamo alla tortuosa e, apparentemente, spoglia Hollywood Road che ospita al numero 10 la centrale di Polizia di Victoria. Si tratta di un edificio a cinque piani di colore blu e bianco costruito proprio nel 1919 e immortalato innumerevoli volte in uno dei filoni che tra la metà degli anni ’80 e oggi ha contribuito a rilanciare nel mondo l’immagine del cinema locale. Si tratta di quei film definiti Gunplay, gioco di pistole. Forse nella classificazione c’è troppa enfasi per la violenza e sarebbe meglio parlare di noir orientali. Sono storie di gangster e poliziotti che hanno fotografato un aspetto della città ispirandosi non solo all’immaginario ma anche alla vita di tutti i giorni. Quanto poliziotti e gangster siano vicini ce lo mostra un piccolo ma suggestivo tempio che sono andato a cercare dopo tanto averne sentito parlare. Non è facile scovarlo, inserito com’è tra una scuola elementare e alcune case popolari sinceramente brutte, ma la sua magia sta proprio in questo anticlimax, nel rifiuto di ogni spettacolarità da film in technicolor. Eppure il tempio di Man Mo ha una storia affascinante. Prima di tutto non si sa bene quando fu costruito, ma alcune voci vogliono che esistesse già prima dell’arrivo degli inglesi, come dimostra il santuario più piccolo annesso dedicato agli Otto Immortali, che, da saggi guerrieri quali sono, ormai vivono tra i monti della mitologia. In effetti si tratta di un edificio piccolo, polveroso, dominato dai fumi delle spirali d’incenso che calano una nebbia profumata su una sala dove la luce è fioca e le statue paiono emergere dalle ombre della leggenda. Man è la divinità dei dotti, rappresenta la civiltà, lo spirito liberale dei cinesi. Al suo fianco c’è Kwang Ti o Mo, il mitico re guerriero, campione di arti marziali, il cui culto è in qualche modo legato all’imperatore Huangdi che unificò i Sette Regni nel 200 avanti Cristo e si fece seppellire con un esercito di guerrieri di terracotta a Xian.
Ma la caratteristica peculiare della divinità Mo dedicata alla forza marziale è che tra i suoi veneratori ci sono sia i gangster che i poliziotti. Chi conduce una vita pericolosa, dove la violenza è un’abitudine, viene qui a chiedere responsi agli indovini o semplicemente a invocare il joss con tre bastoncini d’incenso. Se ci guardate bene in tutti i film di gangster di HK si vedono altarini dedicati a Kwang Ti sia nei commissariati di polizia che nelle case dei malavitosi. Come a dire che guardie e ladri sono uniti da un legame mistico che John Woo, ma non solo lui, ha saputo così ben sintetizzare in The Killer, uno dei film manifesto del filone Gunplay in tutto il mondo. È venuto quindi il momento di addentrarci un po’ più profondamente nel mondo delle Triadi, le società segrete cinesi, nate come gruppi politici di resistenza dei Ming contro stranieri e invasori manchu, ma trasformatisi in seguito in cosche criminali così diffuse e ramificate da poter rivaleggiare con la mafia siciliana.
Le Triadi, le società segrete cinesi, il cui nome originario era Hung Mun, si sono ammantate di un alone mitico, mescolando la realtà con la finzione in modo quasi indissolubile e, in maniere differenti, hanno popolato il mio immaginario nel corso di moltissi
Tra tutti i volumi consultati mi sentirei di suggerire quelli di Martin Booth (The Dragon Syndacate e The Triads) e di Gerald Posner (Warlords of Crime), ma anche la conoscenza approfondita del cinema di Hong Kong dalla fine degli anni ’80 a oggi mi è stata utile per cogliere mille particolari, aspetti che, al di fuori di vicende a volte sin troppo romanzate, mi hanno permesso di comprendere dettagli e aspetti inediti.
Prima di tutto sfatiamo un vecchio mito. Anche al di fuori di Hong Kong le società segrete sono sempre esistite nella storia del Regno di Mezzo. Se ne parla persino ai tempi dell’imperatore Huangdi, ossia quasi 250 anni prima di Cristo, e la storia ci presenta un gran numero di rivolte ed episodi sediziosi legati alle Triadi nei secoli passati, sia nella Cina continentale che in ogni altro luogo in cui i cinesi si siano stabiliti. Mickey Rourke, protagonista de L’anno del Dragone di Michael Cimino, diceva a uno scettico collega newyorkese: «La Mafia non l’anno inventata i siciliani, sono stati i cinesi». Probabilmente è vero anche se le associazioni segrete cinesi, inizialmente, non avevano finalità espressamente criminali ma patriottiche. È un atteggiamento tipicamente orientale, quello di reagire ai soprusi delle autorità riunendosi in associazioni occulte. Pur vero è che anche la Mafia nacque con aspirazioni patriottiche, tanto che, se vogliamo escludere alcune etimologie di ispirazione araba, MAFIA significava Morte Alla Francia Italia Anela.
Tornando in Oriente, l’Hung Mun, la Triade originale, era rappresentata da un triangolo isoscele i cui lati richiamavano il concetto di Uomo, Cielo e Terra, tripartizione comunissima secondo le filosofie e le usanze orientali, tanto che nelle isole Ryukyu, a metà strada tra Cina e Giappone, s’insegnava l’uso del Bo - il bastone lungo - suddividendone la presa in tre ten, gi e chi: terra, uomo e cielo, appunto.
In tutta la mitologia e il simbolismo delle Triadi - anche se oggi i rituali si sono abbreviati e gran parte delle storie dei vecchi tempi sono ignorate dai semplici affiliati - il numero 3 riveste un’importanza capitale. I nomi dei capi non sono mai espressi se non con colorite metafore o numeri multipli di tre. Un boss è un Testa di Drago o un Capo della Collina ma anche un 489 e un Palo Rosso, un luogotenente incaricato di tenere la disciplina e organizzare atti di violenza, è indicato come un 426. Allo stesso modo un Uomo-scure o meglio un “Cavallo”, cioè un picchiatore, si presenterà in un bar a chiedere il pizzo ( la “busta rossa per il tè” come viene chiamata con un eufemismo) posando sul tavolo la mano con il pollice, l’indice e il mignolo tesi e il medio e l’anulare ripiegati. E 36 sono i giuramenti necessari per essere accettati nella società proprio come 36 erano le famose camere di Shaolin.
Dal tempio di Shaolin, forse non quello originale ma uno dei tanti monasteri dove s’insegnavano il buddismo c’han e le arti marziali insieme ai principi di lealtà patriottica alla stirpe Han, che partì sul finire del 1600 una sanguinosa ribellione contro la dinastia Qing, i Manchu venuti dal nord. Non era la prima rivolta, ma fu precisamente da quell’episodio generato dalla sedizione promossa da 128 monaci guerrieri che nacque il famoso detto “Distruggere i Qing e restaurare i Ming”, diventato poi lo slogan delle Triadi sino alla rivoluzione del 1911. Ovviamente gli eserciti manchu erano più numerosi e meglio armati dei monaci e dei loro adepti, il monastero (che alcune leggende vogliono situato a Foochow, non quindi nella più settentrionale provincia di Henan dove oggi è ospitato il tempio ufficialmente aperto al pubblico) fu raso al suolo. Si salvarono solo cinque monaci e una suora ( la mitica Wing Tsun) che si divisero viaggiando per il Regno di Mezzo grazie alle Giunche Rosse degli artisti dell’opera per diffondere il Kung Fu, ma anche l’ideale della rivoluzione. Vera o meno, la leggenda fu seguita da una massiccia divulgazione degli stili di combattimento Shaolin e dei gruppi segreti votati alla rivolta contro la dinastia mancese.
La dinastia Qing (1664-1911) fu teatro di molti cambiamenti nel Regno di Mezzo, alcuni dei quali videro indirettamente coinvolte le Triadi e non sempre contro il governo centrale. Fu il caso della rivolta dei Taiping, una setta guerriera di ispirazione cristiana, che causò agli inizi dell’800 forse l’ondata di xenofobia più sanguinosa della storia cinese e sancì la chiusura politica e commerciale della Cina verso il resto dell’Occidente. Chiusura relativamente breve, in quanto i fatti già narrati della Guerra dell’Oppio non solo diedero origine a Hong Kong come centro commerciale alla foce del fiume delle Perle - e quindi a tutta la Cina del Sud - ma anche ai vari quartieri delle legazioni nelle città, sancite dai trattati via via stipulati negli anni successivi al primo conflitto dell’oppio. A quel tempo le Triadi di Fochoow (o Fukien) erano già saldamente inserite nel sostrato sociale di Hong Kong, ma avevano iniziato a comprendere che, per sostenere la lotta politica, erano necessari fondi ingenti. E quale migliore fonte di approvvigionamento dell’intermediazione nel traffico d’oppio? Da qui cominciano le vessazioni ai locali, il controllo della prostituzione, il gioco d’azzardo e ogni altra attività illecita e remunerativa.
Le Triadi come la Son Yee Oh e il Loto Bianco cominciano una mutazione che le porterà a trasformarsi da associazioni patriottiche a vere e proprie organizzazioni criminali. Nel frattempo gli anni ’50-’60 del diciannovesimo secolo vedono una grande migrazione verso il paese della Montagna d’Oro, la California. Qui si stabiliscono comunità cinesi presto impiegate e sfruttate nella costruzione delle ferrovie. Sulle prime il permesso è accordato solo ai lavoratori maschi, i coolie, che vanno a scavare gallerie con la dinamite nelle Montagne Rocciose, poi nasce un’infame tratta delle donne attirate con contratti capestro che le rendono schiave di bordelli e fumerie in tutta la California. Nasce la Costa dei Barbari con le sue Chinatown chiuse e pericolose, le fumerie dove si “caccia il drago” diffuse sino a Tombstone nel territorio dell’Arizona e, naturalmente, i cinesi decidono di riunirsi per difendersi dai diavoli stranieri. Ispirandosi alle Triadi originarie creano dei gruppi chiamati Tong, che può significare sia “tenaglia” che “municipio”.
Si tratta di organizzazioni criminali lecitamente riconosciute dalle autorità dei bianchi. Questi trovano comodissimo che ci siano dei cinesi a occuparsi degli affari sporchi come la tratta degli schiavi - perché tali erano i poveretti costretti a ripagare con una vita di lavoro il passaggio da una parte all’altra dell’oceano - e l’amministrazione della giustizia nei ghetti.
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