La mia passione per la Corsica e le storie dei banditi delle sue montagne risale in effetti a una decina d’anni prima della nascita di Chance Renard come personaggio seriale. Diventano così un elemento “di base” sul quale si è costruita la mitologia dell’intera sega, un terreno di riferimento che il lettore ha imparato a riconoscere come distintivo e familiare.
Agli inizi degli anni ’80 ebbi l’occasione di leggere un romanzo pubblicato da Sonzogno intitolato Il Clan dei Corsi di William Heffernan pubblicizzato come un nuovo Padrino, ambientato tra la Corsica e l’Indocina. Rimasi profondamente colpito dalla descrizione della malavita corsa, dalle sue somiglianze e al tempo stesso dagli elementi di originalità con quella siciliana. In seguito lessi anche Corsican Honor (dello stesso autore ma rimasto inedito in Italia come il successivo Act of Contrition) e svolsi una serie di ricerche su libri ma anche sul campo recandomi più volte in Corsica con la scusa delle vacanze ma, in verità, per raccogliere materiale per costruire quel territorio mitico da cui sono scaturite le avventure che hanno lasciato un segno più nella mia genesi del Professionista.
Anche un semplice viaggio da turista in Corsica non può non lasciare segni profondi nell’immaginazione. I porticcioli con le falesie, la natura aspra che passa da monti scoscesi al mare nel giro di poco tempo, le strade “impossibili” tortuose e disseminate di carcasse d’auto uscite di carreggiata e lasciate lì. Le cappelle mortuarie che sorgono lontane dai borghi, le cerimonie penitenziali, il senso cupo dell’onore e della vendetta coltivata tra città strette in vicoli di pietra poco distanti da frastagliate formazioni rocciose tinte, al tramonto, di riflessi cromatici rosso sangue... Tutto ciò è rimasto nella mia mente e si è arricchito a mano a mano che mi sono spinto nella ricerca della storia criminale dell’isola, nella radice di quella che i francesi chiamavano semplicemente la “pègre” ma per gli isolani non era semplicemente la “mala”.
Per i corsi le faide familiari, i giri loschi alimentati nelle boites de nuit, i traffici, l’irredentismo si fondevano in una complessa trama di clan e famiglie che chiamavano semplicemente il milieu...
Marsiglia, per la Francia, è sempre stata fonte di gioie e dolori. Porta d’ingresso e d’uscita per traffici e commercio con le colonie in Africa e in Asia ha visto proliferare movimenti sovversivi (non per nulla l’inno della Rivoluzione si chiama La Marsigliese) e, naturalmente, è stata teatro delle gesta di una malavita organizzata legata alla prostituzione, al contrabbando di sigarette, d’armi, di droga, di donne e di preziosi, quanto mai vario e colorito.
È interessante osservare, però, che la maggior parte dei malavitosi di Marsiglia non erano francesi. Erano corsi. Venivano da un’isoletta che non si considerava territorio francese ma neppure genovese o italiano. Erano, per dirla tutta, brutti soggetti, sempre vestiti di nero, gelosissimi delle loro donne, permalosi, abituati a una vita dura come la natura in cui erano cresciuti (Ricordate la descrizione che ne fecero Goscinny e Uderzo in Asterix in Corsica? Non siamo molto lontani dalla realtà). Avevano molti punti in comune con i siciliani con i quali però mostravano anche parecchie differenze.
La prima e più evidente sta proprio nell’organizzazione della malavita. Mentre in Sicilia l’organizzazione dei Don, pur con le sue inevitabili e periodiche sanguinose guerre tra Vecchio e Nuovo sistema, ha sviluppato una struttura piramidale con la Cupola, la gerarchia delle famiglie esportata anche negli USA, in Corsica tutto sembra rimasto più limitato alle viuzze del paesello, più circoscritto ai vari clan.
I primi malavitosi corsi a far parlare di sé furono anche i primi a stabilirsi sul suolo francese. Dominique Carbone e François Spirito furono, negli anni ’20, protagonisti di un’epopea guascona e irriverente che il film Borsalino (di Jacques Deray, 1970, adattamento del romanzo Bandits a Marseilles di Eugéne Soccomare) ha trasposto con efficacia sullo schermo con una variazione. Belmondo e Delon (allora pilastri del cinema d’azione e non solo d’oltralpe) erano furfanti simpatici, più occupati a gestire, ma con rispetto, donnine allegre che a fare a pezzi la gente come i loro personaggi ispiratori. Tanto che i due eroi nel film cambiarono persino nome trasformandosi in François Cappella e Roc Siffredi. Il nome di quest’ultimo divenne in breve leggendario (quasi a creare un personaggio reale) come emblema del gestore dei più importanti bordelli della Costa Azzurra e, molti anni dopo, avrebbe suggerito uno pseudonimo immediatamente riconoscibile dal popolo francese per un italico mito del cinema hard-core, diventato poi produttore. Rocco Tano è oggi Rocco Siffredi proprio perché la sua casa di produzione (la Siffredi Communication) ha sede in Francia e richiama, nel nome, immagini e suggestioni di piaceri che da noi sono ancora sotto censura.
In verità Carbone e Spirito cominciarono con le femmine, ma passarono presto alla politica prestando uomini e strutture contro i socialisti del porto di Marsiglia. I loro crumiri e picchiatori furono più volte utilizzati negli anni ’30 e passarono al servizio del governo di Vichy e dei nazisti durante la guerra. Al termine di questa, la loro organizzazione, che aveva prosperato con il mercato nero, cambiò disinvoltamente fronte e divenne uno dei principali strumenti di repressione anticomunista alla fine degli anni ’40, serrando legami e amicizie con la neonata CIA impegnata dapprima nella Guerra fredda contro i russi e poi nel conflitto vietnamita in Indocina.
In questo settore è importante notare che i corsi possedevano due particolari talenti. Erano abilissimi nel contrabbando ed ecellevano nella lavorazione della morfina che veniva trasformata in eroina. Divennero così preziosi alleati sia dei francesi che degli americani ma anche un anello importante nel traffico internazionale di droga che i siciliani avevano cominciato a dominare sin dai tempi di Lucky Luciano e poi di Santo Trafficante (personaggio reale che ha ispirato il personaggio di Santo Castiglione di Lacrime di Drago).
I corsi erano meno organizzati dei siciliani e delle famiglie americane, forse a causa dell’ambiente fisico in cui si era sviluppata la loro società della quale la criminalità era solo uno specchio. In verità l’irredentismo non si è mai totalmente discosto dalla malavita e “guadagnarsi il pane”, come si diceva in gergo, presupponeva sempre un forte legame con quell’isola rude e bellissima che i suoi abitanti sognavano libera da qualsiasi giogo. Questo modo di pensare i corsi se lo portarono nel Togo, nella Polinesia, in Algeria, nelle Antille, in Indocina e a Marsiglia. Per dirla tutta, non è che avessero particolari simpatie per nazisti e fascisti, li utilizzavano come mezzo per contrastare quelli che per loro erano i veri oppressori. La struttura organizzativa stessa dell’Unione Corsa (e qui permettetemi un aggancio doveroso ai romanzi di Ian Fleming e a quel Marc-Ange Draco che sarebbe diventato il suocero di James Bond!!!) era basata sui clan familiari che, a loro volta formavano il Milieu.
All’interno di questi l’equivalente del don siciliano era chiamato “un vrai monsieur”, un vero signore, e la carica di Consigliori (resa celebre dal Padrino cinematografico da Robert Duvall/Tom Hagen) era ricoperta dal Pacieri che era anche un capo clan. Nel romanzo Il Luparo, che sicuramente qualcuno ricorda in Professional Gun e che è in qualche modo legato alla saga del Professionista quanto a quella dei Castiglione, Bernard Prestia, il padre del protagonista, era un Pacieri ma anche un vrai monsieur. E, come nel romanzo, anche nella realtà, c’erano divisioni, screzi e faide tra i componenti del milieu. Così, con il declinare della potenza di Carbone e Spirito, altri capi emersero, sempre meno legati alla destra, quali i Guerini e i Francisci, magari avversari tra loro, ma sempre consapevoli che i corsi erano soli contro tutti. Antigaullisti, negli anni ’50, trasferirono le loro raffinerie di morfina dalla Costa Azzurra alla Corsica quando in Italia fu radicalmente diminuita la produzione di questo elemento base per la raffinazione dell’oppio turco in eroina.
Ma se l’Occidente da una parte combatteva la droga, d’altro canto se ne serviva per sostenere la lotta al comunismo.
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