Nel 1979 la SPI è all’apice del successo, pubblica decine di giochi al mese! (Si tratta di numeri inavvicinabili per qualsiasi altra casa editrice di giochi da tavolo in ogni epoca... sarà purtroppo anche il motivo principale del suo subitaneo fallimento solo un paio di anni dopo, quando i primi personal computer cominciavano a diffondersi a macchia d’olio nelle famiglie americane e decine di giochi di simulazione venivano trasportati sulla macchina, a scapito del prodotto cartaceo - che ormai poteva vantare soltanto una grafica migliore - e avrebbe potuto continuare a farlo per un altro ventennio - rispetto al suo gemello informatico), e ha capito che anche il fantasy e la fantascienza possono vendere bene, non meno di un wargame su Gettysburg (la più celebre battaglia della guerra civile americana e l’argomento più trattato in assoluto nei giochi di simulazione) o sulla guerra russo-tedesca del 1941-1945 (l’altro scenario più amato dagli appassionati). Così, accanto a titoli maestosi ma non derivati direttamente da romanzi o da film, il 1979 appunto vede l’uscita di John Carter Warlord of Mars e di Freedom in the Galaxy, “copia” spudorata, ma purtroppo apocrifa, di Guerre Stellari.
Disegnato da un ancor giovane Mark Herman (altra icona assoluta del panorama del gioco di simulazione internazionale - e altra persona che ho avuto la fortuna di incontrare di persona, proprio come Richard Berg, ai tempi in cui ero proprietario di un negozio di giochi), John Carter ricrea abbastanza fedelmente le varie imprese e i vari scontri narrati da Edgar Rice Burroughs e consente fino a sei giocatori di prender parte a un interessante e innovativo gioco strategico diplomatico (anch’esso, come War of the Ring, destinato a impegnare strenuamente i partecipanti in vere e proprie giornate lavorative di gioco), oppure a due soli giocatori di prender parte al cosiddetto Duel game, dove sono i singoli personaggi della saga ad affrontarsi l’uno contro l’altro, in un wargame ultra-tattico più tradizionale.
Di nuovo Barasch, ma stavolta affiancato a Butterfield (la SPI era una casa editrice “relativamente” piccola, e il numero di disegnatori di giochi era alquanto limitato - causa principale del detorioramento qualititavo, dal punto di vista ludico, che la sua produzione subisce negli anni conclusivi della sua era, quando a un numero elevatissimo di prodotti non corrispondeva un altrettanto livello di riuscita dei medesimi), è al timone del divertente (anche se un po’ troppo arzigogolato) Freedom in the Galaxy, copia apocrifa della saga di George Lucas, che cerca di riportare nell’universo sterminato le dinamiche di gioco già provato con successo nel gioco tolkieniano.
Questa volta, però, la miscela fra strategia e lineamenti di giochi di ruolo non ottiene il risultato sperato (a detta di tanti) e il gioco non sfonda come il precedente (ma questo non impedisce alla più grande rivale della SPI, la Avalon Hill, di acquisire i diritti del gioco dalla casa editrice newyorkese in cattive acque e riproporlo al grande pubblico - l’Avalon Hill aveva un catalogo che si rivolgeva anche ad appasionati di giochi non rientranti nella categoria del giocatore di simulazione duro e puro - in versione aggiornata, con tanto di mappa cartonata - i giochi della SPI, per ragioni di costo, avevano tutte le mappe di gioco fatte come cartine stradali pieghevoli).
L’epopea SPI nel campo della trasposizione ludica di opera fantastiche ha raggiunto il suo vertice, ma è tutt’altro che conclusa: nel 1981, infatti, vedono la luce Dragonslayer (versione ludica del sottovalutato film fantasy Il drago del lago di fuoco) e The Return of the Stainless Steel Rat, ispirato ai divertenti romanzi fantascientifico avventurosi di Harry Harrison.
Il primo è il tentativo fallito di schierarsi al fianco dei numerosi giochi da tavolo fantasy che iniziavano a riempire il fervido campo ludico dell’inizio degli anni Ottanta, con un prodotto che cerca di ricreare le vicende del film, con un regolamento per la prima volta rivolto anche ai giocatori occasionali, e non solo agli inveterati grognard (termine tecnico del linguaggio dei wargame, con cui si indicano i giocatori di vecchia data), ma che finisce per non essere né carne né pesce e scontenta tutti quanti, rivelandosi un flop di critica e di vendite.
The Return of the Stainless Steel Rat (disegnato da Greg Costikyan, in seguito diventato anche autore di un certo numero di romanzi fantasy, praticamente sconosciuti in Italia, e rientranti nella categoria della fantasy comica di gran voga negli anni Ottanta e inizio Novanta, alla stregua di Craig Gardner, Esther Friesner e numerosi altri “emeriti sconosciuti” per gli appassionati nostrani, ma che hanno goduto anche di un ottimo seguito negli Stati Uniti) è un prodotto molto curioso, pubblicato sul numero dieci della rivista Ares (una delle tre riviste pubblicate dalla SPI, due delle quali contenevano un gioco in ogni numero; Ares era dedicata alla fantascienza e al fantastico, e oltre a giochi e varianti su giochi esistenti, pubblicò anche qualche racconto di fiction): è infatti, una sorta di libro game con tabellone e pedine, un ibrido quindi, precursore dei vari Lupo solitario e compagnia cantante che immagino abbiano fatto crescere ludicamente molti di voi lettori (io sono leggermente fuori target come età - quando uscirono i libro game avevo già più di vent’anni - ma confesso di averne comunque giocati parecchi); il giocatore interpreta Jim o Angelina DiGriz, i protagonisti della saga, e attraverso una serie di scelte opportune, cerca di portare a termine varie missioni. Il gioco è quindi parzialmente condotto da una lettura di paragrafi narrativi, che dipendono dalle scelte effettuate dal giocatore.
Con questi titoli, certamente non paragonabili sotto nessun punto di vista ai fasti degli esordi (risalenti in definitiva a pochissimi anni prima), si viene a concludere la parabola della SPI nell’ambito della simulazione ludica di estrazione filmico-letteraria.
Ma a dire il vero, non possiamo non citare un gioco che, per quanto uscito ufficialmente a marchio TSR (la casa editrice di Dungeons & Dragons, che aveva acquisito dal fallimento il catalogo SPI, compresi molti titoli pronti ma non ancora pubblicati), è chiaramente un prodotto SPI: e si tratta di un titolo tanto curioso quanto interessante e sottovalutato, The High Crusade, tratto dal romanzo omonimo - in italiano Crociata Spaziale - di Poul Anderson. Apparso anche esso sulla rivista Ares (per la precisione sul numero 16, il penultimo in assoluto e l’ultimo contenente un gioco), soffre di limiti di spazio (i giochi su rivista, diversamente da quelli in scatola, avevano degli standard massimi quanto a dimensioni di mappa e numero di pedine) e di un insufficiente playtesting, e non riesce a cogliere gli elementi caratterizzanti del romanzo, finendo quindi per essere un modesto gioco strategico di fantascienza, come già ne esistevano molti.
Resta infine un grosso rimpianto: nei mesi precedenti il subitaneo tracollo e la vendita fallimentare dell’azienda, la SPI aveva concluso un accordo con gli eredi di Robert E. Howard per pubblicare un gioco da tavolo sul mondo di Conan. Purtroppo, non ne resta neppure una copertina, solo la pubblicità sull’ultima di copertina di un numero di Moves (una delle riviste SPI) e qualche sporadica notizia sulle note di sviluppo del gioco da parte del team di disegnatori e playtester. Da quel che si evince, il gioco doveva richiamarsi per certi tratti a John Carter (dando quindi modo di interpretare Conan e compagni) e per altri alla parte strategica di War of the Ring. Ma le notizie sono troppo scarse e frammentarie per averne una seppur vaga idea. La TSR, che ne aveva ereditato i diritti, decise di puntare sul gioco di ruolo, dando vita a un pallido clone di Dungeons & Dragons (tanto che in seguito pubblico alcune avventure dedicate al barbaro howardiano proprio per la versione avanzata del suo mitico gioco di ruolo).
Ed è ora giunta quindi l’lora di chiudere il sipario su questo articolo, rimettere sugli scaffali i giochi (ehm... ho tuttora buona parte dei giochi di cui parlo, ne ho giocati alcuni e li ho avuti tutti in passato tranne Dragonslayer) e prepararci a un’altra futura avventura nello sconfinato universo ludico di derivazione filmico-letteraria, se avrete ancora la pazienza e la costanza di seguirmi.
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