Lo trovate questo mese in edicola con la sua traduzione di Sherlock Holmes e lo Squartatore di Chilford (Giallo Mondadori ORO n. 16), avrete già gustato altre sue traduzioni di romanzi horror e mystery per Delos Books, avrete letto le sue schede all’interno del premiato saggio Mondi Paralleli (Edizioni Della Vigna) ma probabilmente avrete preso parte ad un gioco di ruolo tradotto da lui... o che addirittura lui vi ha venduto!

Stiamo parlando di Roberto Chiavini, uno di quei professionisti che agiscono nell’ombra ma che portano alla luce tanti tesori per noi lettori appassionati.

    

Quand’è che hai deciso di diventare un traduttore? E, se non l’hai deciso, come ti ci sei trovato in mezzo?

È stato sostanzialmente un caso fortuito: all’inizio dell’estate del 2007 mi sono improvvisamente trovato senza lavoro, dopo più di un decennio trascorso come proprietario di un famoso negozio di giochi nel centro di Firenze, e così, tra la varie attività che mi sono “inventato”, grazie ai buoni uffici dell’amico Gian Filippo Pizzo e alla straordinaria generosità di Giuseppe Lippi e Gianfranco Viviani (non potrò mai ringraziare abbastanza entrambi per la pazienza avuta nel sopportarmi e il continuo incoraggiamento dimostratomi), ho iniziato a tradurre racconti e romanzi, continuando poi per qualche anno la collaborazione con la Delos Books (con Luigi Pachì, Silvio Sosio e il compianto Vittorio Curtoni - oltre a Viviani, ovviamente - a farmi di volta in volta collaborare con ROBOT e le varie collane Odissea).

In realtà, le mie prime esperienze da traduttore risalgono ai primi anni Novanta, quando insieme ad altri giovani della fiorentina Das Production, siamo stati i primi in Italia a curare la traduzione di pietre miliari del gioco di ruolo internazionale, in particolare Vampire the Masquerade (oltre a Paranoia, Ars Magica, Gurps, tutti nomi che gli appassionati di gioco di ruolo conoscono e apprezzano).

Adesso lavoro a un progetto per la Fratini Editore di Firenze per la riscoperta (o in taluni casi la vera e propria scoperta) di autori dell’epoca dei pulps americani anni Venti e Trenta, assurdamente trascurati dall’editoria nostrana (ci sono delle vere e proprie gemme preziose in mezzo alle valanghe di carta da quattro soldi e di generi letterari da noi praticamente ignoti).

     

Cosa si prova a tradurre in italiano dei giochi di ruolo spesso amati da comunità di giocatori “intransigenti” e molto critici? Con termini poi spesso già ben noti in inglese.

Il gioco di ruolo di Dylan Dog
Il gioco di ruolo di Dylan Dog
Ho avuto la fortuna di potermi considerare un precursore nel campo, perché ai tempi in cui ho lavorato alle traduzioni di Vampiri, Ars Magica e simili, ancora i giochi di ruolo tradotti in italiano erano piuttosto pochi, ma i più celebri, come Il Richiamo di Cthulhu - ispirato alle opere lovecraftiane - e Il Gioco di ruolo del Signore degli Anelli (conosciuto con l’acronimo GIRSA) erano già stati osteggiati da buona parte della comunità dei fan, per la traduzioni piene di strafalcioni e di termini sbagliati. Posso citare una delle più usate abilità del Richiamo di Cthulhu: in originale era “Library Use” e in italiano è stato orrendamente e scorrettamente tradotto con “Biblioteconomia”, quando un “Ricerche d’archivio” o simili sarebbe stato decisamente più corretto. È l’esempio più famoso ma gli errori erano tanti. D’altra parte, erano tempi “eroici” per il gioco di ruolo, e spesso le traduzioni, anche delle case editrici ufficiali, erano lasciate a volenterosi studenti di liceo o di università, non certo a traduttori professionisti. Anche noi della DAS, che forse eravamo solo di pochi anni più grandi, eravamo un nucleo di appassionati (il nostro primo successo era stato Il Gioco di Ruolo di Dylan Dog, che ci aveva dato i mezzi per proseguire per qualche anno l’attività di editore, passando anche a traduzioni di opere straniere, prima che il boom di Magic l’Adunanza spegnesse sul nascere l’ardore della prima generazione italiana di giocatori di ruolo - e ponesse fine al nostro progetto editoriale), ma mi sento di poter dire che eravamo un tantino più seri, più attenti. Quell’esperienza lontana mi è senza dubbio servita moltissimo per le mie più recenti incursioni nel campo delle traduzioni.

     

Devi assolutamente parlarci di più del Progetto Pulp: quali autori ti sono capitati? Come ti trovi a rendere in italiano un linguaggio spesso rozzo?

Il progetto relativo alla narrativa pulp è nato dalla comunione di intenti di quattro amici fiorentini, il sottoscritto, Gian Filippo Pizzo, Walter Catalano e Luca Ortino. Sulla base dei nostri interessi (orientati principalmente alla fantascienza e al fantastico, ma comunque aperti a orizzonti diversi, come il giallo, il western, il romanzo storico, il cappa e spada, etc.) e ha avuto una lunga genesi e diverse false partenze prima di trovare nell’editore Fratini (www.fratinieditore.it/), giovanissimo e pieno di energie, il punto di arrivo della sua prima opera.

Stanley G. Weinbaum
Stanley G. Weinbaum
A inizio autunno uscirà il primo volume, dedicato all’opera di un grande della fantascienza delle origini, venuto a mancare giovanissimo: Stanley G. Weinbaum. Abbiamo riunito nel volume i pochi racconti rimasti ancora inediti in Italia, affiancando loro altre opere che non hanno trovato spazio nelle poche antologie che gli sono state dedicate in passato (tutte ruotanti attorno al celeberrimo Odissea marziana). Così, oltre che alla fantascienza, questa antologia consente di fare la conoscenza anche con il Weinbaum autore di gialli rosa (sotto pseudonimo femminile ha addirittura pubblicato un romanzo rosa vero e proprio, che non è escluso che in futuro non possa trovare anche spazio nel nostro lavoro di riscoperta).

Dopo di lui la collana dovrebbe prendere la strada del western, con una raccolta di racconti di Robert E. Howard, poi potrebbe toccare anche il cappa e spada con i racconti di George Challis (uno degli innumerevoli pseudonimi di Frederick Faust, aka Max Brand, autore pulp dalla brillantissima carriera, noto più che altro per i western e per aver creato il personaggio del Dottor Kildare, ma in realtà attivissimo, come molti suoi contemporanei, in quasi ogni genere o sotto-genere di narrativa popolare), l’horror con il reverendo Whitehead, e poi chissà.

Tradurre racconti e romanzi così datati è un’esperienza affascinante, che però mi consente di scrivere in un italiano più “arcaico” o “arcaicizzante”, che è molto più nelle mie corde di quello contemporaneo. Senza le giuste revisioni stilistiche dei colleghi del gruppo di lavoro - che ritengono di dover comunque attualizzare il testo, per renderlo più fruibile al pubblico di oggi - avrei scritto in un italiano quasi dannunziano!

Comunque, e qui svicolo un attimo dal discorso traduzione, per restare a parlare dei pulp, la narrativa del periodo era straordinariamente attuale e in gran parte passata ingiustamente nel dimenticatoio: per noi la narrativa pulp è sinonimo di spazzatura, e certo in parte lo era, ma nelle decine e decine di volumetti che sto leggendo in questi ultimi mesi come proofreader per la Radioarchives (una casa editrice americana che sta rilanciando il genere in ebook e audiobook, con un catalogo che spazia dagli eroi eponimi di testate individuali, come Operator 5, G-8 and his battle aces, The Spider, alla riproposizione di testate storiche, come Terror Tales, Horror Stories, Dime Mystery Magazine, Dime Detective Magazine e così via) c’è del materiale notevolissimo, sia per fantasia, sia per qualità letteraria, in massima parte da noi sconosciuto. Ne parliamo meglio in un’altra occasione, ma questo lavoro mi è utile anche dal punto di vista della traduzione, per la grande quantità di termini slang e desueti che queste storie contengono - e che quindi, dovendo correggere le singole parole del testo inglese come correttore di bozze, finisco per assimilare. State certi che non c’era solo Lovecraft a usare termini astrusi o inondazioni di aggettivi: ha avuto tantissimi epigoni. (Per saperne di più, ecco il mio blog: taddeoepumaye.blogspot.it/).

     

Secondo te è più faticoso tradurre un romanzo o scriverlo?

Credo che siano due cose abbastanza distinte, anche se un buon traduttore dovrebbe in teoria anche essere un abile narratore. Come scrittore di narrativa avevo provato a scrivere un romanzo a soli quattordici anni e mi ricordo vagamente di essermi divertito un sacco nel farlo. Per il resto, personalmente so che per scrivere narrativa ho bisogno di molta ispirazione, di sentire dentro di me il racconto o il romanzo che vuole uscire. Sotto questo punto di vista, quando scrivo narrativa (e mi capita di rado) non provo alcuna fatica. Quindi, sì, tradurre è senz’altro più faticoso, perché devi cercare di rendere tuo qualcosa che di base non ti appartiene, e cercare di amare anche qualcosa che potenzialmente detesteresti nel profondo.

     

Ti è capitato di tradurre un autore di cui proprio non sopporti lo stile? Facendolo hai poi cambiato idea?

Fortunatamente no al momento, ma sono abbastanza liberal sotto questo punto di vista. Come lettore bado quasi sempre più all’idea che allo stile, e quindi non mi pongo particolari problemi su come scriva uno scrittore. Tra gli autori che mi è capitato di tradurre, e che hanno molto successo di pubblico, ho trovato realmente deludente Charlene Harris, ma credo sia un problema di genere, più che di stile.

     

C’è stato un testo che più ti ha fatto ammattire nel tradurlo? E uno invece che ti ha particolarmente divertito?

Le maggiori difficoltà le ho incontrate nel tradurre le opere di fantascienza più pura, perché pur essendo abbastanza appassionato del genere, manco delle competenze scientifiche per apprezzare al meglio la hard sf. In realtà le maggiori difficoltà dal punto di vista terminologico le ho avute ai tempi della traduzione dei giochi di ruolo (dove il pubblico di appassionati giocava già da anni in lingua inglese ed era sempre estremamente complicato scegliere un termine italiano che non scontentasse la maggioranza di loro. Devo dire che spesso ci siamo riusciti). Quanto a divertimento nel tradurre, restando nell’ambito del gioco di ruolo, tradurre Paranoia - uno straordinario gioco di ruolo ambientato in un mondo dove un computer paranoico ha preso il controllo di tutto e vede minacce “comuniste” a ogni passo - è stato spesso esilarante. Ma mi sono divertito anche con la letteratura: le Stories of the Golden Ages di Ron Hubbard sono state sempre estremamente gustose e divertenti da tradurre (e che autore grandioso e sconosciuto ai più è in realtà Hubbard, che per molti è solo l’ideatore della Dianetica, è stato un grandissimo scrittore pulp, capace di passare da un genere all’altro con estrema disinvoltura; sono per esempio notevolissimi i suoi western, ma anche le storie di guerra, i mystery orrorifici in gran voga negli anni Trenta, insomma, un grande; sarebbe forse ora di ristampare anche le cose uscite oltre trent’anni fa per Libra, che coprivano buona parte - ma non tutta - la sua produzione fantastica).

     

C’è stato qualche romanzo che, traducendolo, hai avuto una gran voglia di aver scritto tu?

I romanzi di Terry Faherty che ho tradotto per la collana Odissea Mystery (uno dei quali rimasto purtroppo inedito, credo). Sono realmente molto belli e di un livello qualitativo molto alto per dei gialli. Forse un po’ troppo poco mystery per essere apprezzati fino in fondo dal pubblico degli appassionati. È stato un vero peccato non poter proseguire la serie: il protagonista è veramente notevole e mi sarebbe piaciuto moltissimo poter dare al pubblico italiano anche la mezza dozzina di romanzi rimasti per adesso inediti.

     

Ti è mai capitato di avere una gran voglia di “aggiustare” qualche passaggio mal scritto?

Molto spesso, ma questo credo derivi dal mio essere, fra le altre cose, anche un insegnante e quindi di essermi trovato spesso a correggere i passi scritti male dei miei allievi. In particolare, ti viene molto spesso la tentazione di migliorare la narrativa dell’epoca dei pulp: molti autori scrivevano realmente per un tanto al chilo, per così dire, e sembra proprio che molte di queste storie non venissero neppure rilette. Ma fa tutto parte del loro fascino (enorme, per quanto mi riguarda).

     

Hai avuto modo di contattare gli autori che hai tradotto? Ti sono stati d’aiuto nella resa in italiano?

Il solo Charles Stross (di cui ho tradotto Universo distorto per la Delos) che è stato veramente molto amichevole nei miei confronti e mi ha aiutato più volte in alcuni passaggi e in varie spiegazioni. Robert Lopresti, invece, ha parlato molto bene della mia traduzione di Delitti Folk (sempre per Delos Mystery) e la cosa mi ha fatto molto piacere.

     

Per finire, qual è il libro (o la serie di libri) di cui vai più fiero di aver curato la traduzione?

Mi ripeto: aldilà dell’edizione italiana di Vampire the Masquerade e Ars Magica (in quest’ultimo caso abbiamo corretto, nell’edizione italiana, gli incredibili errori di latino che conteneva - meritebbero un pezzo a parte, tanto erano clamorosi, per un prodotto che aveva ottenuto i premi più grandi e prestigiosi nell’ambito del gioco di ruolo internazionale; i due più grossi sono aver inventato di sana pianta i termini “Imagonem” - invece che “Imaginem”, il corretto accusativo singolare del termine “Imago, imaginis”, e soprattutto “Corporem”, che essendo neutro, resta Corpus anche all’accusativo; bisogna comunque dar credito agli autori per aver provato a costruire tutta la serie dei loro incantesimi - di gioco ovviamente, non è un manuale di magia nera - con l’utilizzo di un verbo in prima persona singolare e un accusativo del termine al verbo correlato; se avesse fatto queste cose anche la Rowling, invece di inventare il terribile pseudo-latino di Harry Potter, forse sarei riuscito anche a leggere i suoi libri...), la serie di romanzi che ho apprezzato di più nell’ambito delle mie traduzioni sono senz’altro le storie di Owen Keane di Terence Faherty per la collana Odissea Mystery. Luigi, li riprendiamo? Ma andrò molto orgoglioso anche delle imminenti uscite per la Fratini Editore, a partire dal volume su Stanley G. Weinbaum in uscita a inizio autunno.