Chi ha ucciso il presidente Kennedy? È una delle più inquietanti domande della Storia contemporanea, che ritornerà certamente in questo 2013 che segna il mezzo secolo da quel tragico venerdì, 22 novembre 1963, a Dallas. Specie con le rivelazioni di Frank Ragano, ex avvocato del famigerato Jimmy Hoffa, leader del potente sindacato degli autotrasportatori, scomparso in circostanze misteriose nel 1975. In un’intervista di tre ore concessa venti anni fa al quotidiano New York Post, noto per il taglio sensazionalistico di ciò che pubblica, l’uomo sostenne che fu proprio il noto sindacalista-gangster a ordinare l’assassinio di John Fitzgerald Kennedy. Questo gli avrebbe tolto dalle costole anche il fratello Robert, Ministro della Giustizia, che indagava sulle losche attività della malavita organizzata e si sarebbe dimesso dalla carica sotto la presidenza Johnson. Cosa che effettivamente avvenne.

In realtà, di nuovo c’è ben poco nelle affermazioni di Ragano. Le quali, oltre tutto, confermano che il contratto per uccidere il presidente sarebbe stato realizzato con il contributo determinante di Santos Trafficante e Carlos Marcello da New Orleans. Senonché, quasi in contemporanea, uscì negli Stati Uniti il film JFK, di Oliver Stone, che fra molte polemiche presenta la tesi di un complotto a compartecipazione fra la mafia, la CIA e il Pentagono. La concomitanza della pellicola e delle dichiarazioni di Frank Ragano spinsero Ted Kennedy e il deputato Louis Stokes, che dirigeva la commissione inquirente della Camera, a chiedere che siano riaperti gli archivi sull’assassinio di Dallas.

Non se ne fece nulla.

          

I decenni non hanno minimamente raffreddato il fatto. Soltanto, l’ipotesi del gesto solitario di Lee Harvey Oswald ha perso sempre di più terreno in favore di quella cospiratoria. Anche perché la caduta della cortina di ferro ha nel frattempo reso accessibili nuovi materiali e testimonianze sulla Guerra Fredda, che proprio sotto la presidenza di Kennedy conobbe alcune delle sue fasi più acute, con la costruzione del muro di Berlino, il fallito sbarco nella Baia dei Porci e i missili sovietici a Cuba. Un riepilogo dell’intera vicenda dunque non può prescindere dal clima e dalle circostanze di quell’epoca, al cui interno avrebbero potuto maturare possibili congiure per eliminare un presidente giovane, popolare e carismatico. Il che non significa necessariamente che tutte le ombre e i dubbi accumulatisi intorno a Kennedy debbano per forza nascondere piste per Dallas.

Lee Harvey Oswald
Lee Harvey Oswald
Innanzi tutto, la stessa vittima. Kennedy era un uomo dalla vita e dalla personalità controverse. Il destino di entrare alla Casa Bianca era stato scelto e preparato con cura dal padre Joseph sr., che inizialmente però puntava sull’altro figlio Joseph jr., morto eroicamente durante la Seconda guerra mondiale. Anche John, anzi Jack, come lo chiamavano familiarmente, aveva mostrato la sua dose di coraggio contro i giapponesi, nel Pacifico. Aveva anche lavorato per i servizi segreti della marina, coltivando contemporaneamente i favori di una donna, sospettata di essere una spia nazista. Ma la disinvoltura e la voracità con cui Kennedy si dedicò alle donne interessano il capitolo che termina con la sua morte solo per le conseguenze paradossali che ne derivarono. La più pubblicizzata, sulla quale è tornato spesso che si è occupato del mistero di Dallas, fu quella derivante dall’incauto capriccio di condividere l’amante con un gangster. Lei era la spogliarellista Judith Campbell. L’altro Sam Giancana, che si permetteva, secondo la testimonianza della donna, di rivolgersi al Primo Cittadino degli USA con il familiare appellativo di Jack.

Come conciliare questa relazione con il dichiarato desiderio del fratello Bob, anche e sempre per volere del padre, di diventare Ministro della Giustizia sotto la presidenza di John e detronizzare il crimine organizzato? Il ruolo di Robert, d’altronde, è tutt’altro che secondario. Tanto che quando si candidò alla Casa Bianca nel ’68, avrebbe detto di contare sulla sua elezione anche per far luce sulla morte del fratello. E con lui, entra in ballo anche Hoffa. Negli anni ’50, Robert Kennedy era il primo consigliere del Senatore John L. McClellan dell’Arkansas, capo di un’efficiente commissione d’inchiesta sulle irregolarità sindacali. Hoffa aveva visto per la prima volta il braccio della legge levarsi dinanzi a lui e contrastare i sistemi poco ortodossi con i quali conduceva i suoi affari. Cosa che non impedì più tardi il tentativo di un patto di non aggressione fra autotrasportatori e Kennedy in occasione della campagna presidenziale del ’59. Però, come ricorda l’uomo di Hoffa, Joe Franco, fu un fiasco. Non si arrivò ad alcun accordo che mettesse al sicuro dagli artigli di Robert il sindacato e le fasce criminali ad esso legate.

             

Qui l’affare si complica con un altro grande rivolgimento dell’epoca. A Cuba, Fidel Castro guidò con successo la rivolta popolare, strappando l’isola dalle grinfie del corrotto regime di Batista, il quale aveva lasciato alla mafia il controllo del gioco d’azzardo. Per la criminalità organizzata, era come se il paradiso fosse diventato nel giro di una notte l’inferno. Cuba, oltre tutto, era una roccaforte a due passi dagli Stati Uniti, ma fuori dalla giurisdizione federale. Poteva essere usata come confortevole base per operazioni illegali, con la certezza di potervisi rifugiare in tempi brevi. Non così sotto l’inflessibile guida di Fidel Castro.

Fatalmente, gli interessi della mafia coincisero con quelli politici e militari degli USA. Un regime comunista proprio sotto casa, in piena Guerra Fredda, destabilizzava tutto l’emisfero. E se ne ebbe conferma quando gli ex sovietici vi installarono le testate nucleari puntate sul territorio nordamericano. I due fratelli Kennedy autorizzarono la CIA a studiare piani d’azione contro Fidel Castro già decisi dalla precedente amministrazione. Non sarà mai chiaro se il loro assenso andasse anche ai dichiarati tentativi di assassinio. Comunque, la CIA tentò di eliminare Castro, anche con l’ausilio dell’uomo chiamato in codice Amlash, un alto funzionario cubano disposto a operare negli interessi americani. Fra le diverse possibilità, vi era anche quella di attivare sicari reclutati fra la malavita. Non ci si fece scrupolo di interpellare il già citato Sam Giancana, e a New Orleans, Carlos Marcello e Santos Trafficante. Togliere di mezzo Castro e riportare il “mercato libero” a Cuba, conveniva sia ai vertici americani che alla mafia.

Di certo Kennedy autorizzò il tentativo di sbarco nella Baia dei Porci. Avrebbe dovuto essere l’inizio di una sollevazione anticastrista, invece fu un massacro per l’armata fantoccio messa insieme dalla CIA e addestrata in Guatemala. Quando fu chiaro che i cubani non sostenevano l’operazione, gli americani si rifiutarono di fornire l’indispensabile supporto aereo. Sarebbe stato fallimentare intervenire in una battaglia già persa, soprattutto in termini di propaganda. Kennedy alla Casa Bianca sostenne di pregare per i valorosi che si battevano sulle spiagge di Cuba, ma di fatto riconobbe l’errore.

I falchi del Pentagono, i settori più oltranzisti del governo e dell’opinione pubblica, specialmente gli esuli cubani, gridarono al tradimento. Perfino la CIA, diretta responsabile del fiasco, preferì rilanciare la patata bollente nelle mani del presidente. Bob Kennedy fu al fianco del fratello anche in quella controversa circostanza. Inevitabile, perché come Ministro della Giustizia, seguiva tutte le iniziative di Washington contro l’Avana.

Lo sbarco alla Baia dei Porci deluse anche la mafia, che riponeva grandi aspettative nel rovesciamento di Castro. E quando un anno più tardi, in seguito alla crisi dei missili, Kennedy impegnò in via ufficiosa il Governo americano a non effettuare ulteriori tentativi d’invasione e non bombardare Cuba, tutte le speranze che il Paradiso risorgesse al largo di Miami crollarono definitivamente. Restava solo la spiacevole realtà dell’implacabile Robert Kennedy, che continuava a combattere con accanimento la criminalità organizzata su tutto il territorio federale. Ben altri che il solo Jimmy Hoffa potevano desiderare l’assassinio di Dallas. Incluse le famiglie newyorkesi di Gambino e Genovese. Sotto questo aspetto, le nuove dichiarazioni di Ragano perdono tutta la loro patina sensazionale.

             

Il film di Stone aggiunge che, insieme a questo, per il Pentagono, la CIA e i settori occulti del potere, fu chiaro anche che alla Casa Bianca sedeva un individuo sui generis, del tutto incontrollabile e disposto per realismo politico a fare realmente della Nuova Frontiera un’occasione di superamento della Guerra Fredda.

A quel punto, venivano lesi tutti gli interessi. E non sarebbe stato innaturale che maturassero le condizioni per una congiura. Come sarà chiaro dalla scena del delitto e dalle complesse e divergenti conclusioni che se ne trassero, sia riguardo agli esecutori che ai mandanti.

           

(continua)