La morte può attendere (Die Another Day, 2002), il film del quarantennale e anche l’ultimo dell’Era Brosnan. Esce dopo l’11 settembre e il mondo dello spionaggio narrativo cambia ancora una volta. Non più lotta trai blocchi e Guerra Fredda ma una nuova era di inganni, attacchi terroristici e nazioni canaglia. Ma per la ricorrenza i fan esigono anche uno spettacolo sontuoso in nome di quei fasti che hanno fatto grande la serie. Per cui la sceneggiatura risulta un continuo trivia di rimandi e immagini allusive ai romanzi, ai film precedenti a tutta la mitologia bondiana sposato a una carica innovativa.
A volte il gioco riesce (bella l’immagine del poster delle sigarette del marinaio che allude a uno scambio di battute del romanzo Thunderball) a volte meno. Di fatto è un film spettacolare, glamour ma anche moderatamente innovativo.
Almeno nella prima parte riesce a essere davvero avvincente. Con intelligenza le scene di tortura nel campo di prigionia nordcoreano sono sintetizzate nella sequenza dei titoli di testa, quanto mai rockeggiante con una Madonna scatenata (la vedremo anche in una breve scena nella sala d’armi di Londra con tanto di bustino di cuoio e ambiguità annesse). Bond, barbuto e provato viene scambiato su un ponte nella nebbia, proprio come accadeva nei vecchi film di spionaggio. E ci piace, soprattutto perché questo “fuori tema” avviene dopo un’ottima sequenza d’azione di inseguimento con gli hovercraft. Piuttosto pretestuosa anche perché nella serie arriva come una novità assoluta, la dedizione di Bond alle tecniche di meditazione trascendentale che gli consentono per ben due volte di uscire da brutte situazioni nel film.
Per il resto tutta la parte iniziale ha grinta sino a Cuba, dove il veterano del cinema B spagnolo (e a volte italiano) Simón Andreu gestisce una clinica per riplasmare il DNA e le fattezze di supercriminali in fuga. Idea che sembra presa a prestito dalla serie Alias in onda in quello stesso periodo (lì il processo si chiamava Helix ma ne venivano mostrati solo i risultati).
Cuba ricostruita in Portogallo è convincente e di certo è magnifica Halle Berry prima vera eroina nera della serie (Gloria Hendry alla fine era cattiva) che esce dalle acque come Ursula Andress. Si prosegue a Londra con una bella sequenza d’azione nel circolo di spada ma il nuovo viso del cattivo è veramente da operetta. Poi cominciano i problemi.
L’auto invisibile, il castellone di ghiaccio dell’Absolute in Islanda e soprattutto l’imperdonabile ricorso al satellite con il laser alimentato a diamanti (di sangue!). C’è poi una scena imbarazzante per quanto male sia stata realizzata di Bond che surfa sulle acque artiche che forse riuscivo a realizzare meglio con Photoshop... Insomma il film pur lungo quanto dovuto tradisce in questa fase la necessità di replicare momenti spettacolari un po’ Kemp, anni ’60, che risultano stucchevoli e fuori tempo, soprattutto in quegli anni in cui la guerra in corso e la crudezza di altri film di genere avrebbero richiamato a un maggiore realismo.
Oggi l’effetto negativo si attenua. Resta il difetto di un finale troppo accelerato in fase di sceneggiatura. L’infiltrazione in Corea del Nord rasenta anche qui la fantascienza anche se lascia spazio a un doppio duello finale davvero ben riuscito. In particolare mi piace il catfight tra Halle Berry e Rosamund Pike che per tutto il film è stata una letteralmente algida Miranda Frost. Tra calci e sciabolate il loro confronto finale è decisamente più riuscito di quello tra Bond e il suo nemico munito di armatura elettromagnetica...
Alla fine un film di successo con una buona dose di spettacolarità, divertimento per tutta la famiglia, qualche accenno a sesso e violenza più spinti stemperati da battute e simili facezie. Pierce Brosnan termina così il suo servizio agli ordini di Sua Maestà con una dignitosa performance, servito da una sceneggiatura non sempre all’altezza ma con il giusto aplomb dell’allievo di Sean Connery.
Però i tempi sono davvero cambiati e, anche tra gli appassionati, si sente la necessità di un vero reboot della serie. Dovremo aspettare sino al 2006 per vedere qualcosa di nuovo.
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