Un omaggio a Graziano Braschi
Quel venerdì sera, il dottor Enrico Gecchi uscì dall’ambulatorio più frastornato del solito. Mentre cercava la chiave della macchina nella tasca del cappotto, alzò gli occhi verso il cielo dove una rubiconda luna piena cercava invano di competere con l’insegna sfavillante di un mobilificio.
– Per fortuna domani è sabato.- si rincuorò il medico di famiglia, pensando alla scusa che avrebbe inventato la mattina seguente per sfuggire al corso d’aggiornamento settimanale. Dopo aver attraversato meccanicamente il centro del paese, si diresse verso casa, imboccando la strada panoramica che saliva su una delle colline più amene della zona. Visto che da più di vent’anni esercitava la professione in quel grosso centro agricolo – industriale, poteva considerarsi a pieno titolo uno stimato membro della comunità locale fatta soprattutto di tessitori, mobilieri e coltivatori diretti. Ormai il dottor Gecchi si era abituato alla routine delle visite domiciliari e delle lunghe ore trascorse nell’ambulatorio della farmacia della piazza. Ma da pochi mesi la sua esistenza abitudinaria e tranquilla aveva subito un traumatico cambiamento. Infatti, da quando il dottor Rispa, lo storico farmacista del paese, aveva assunto una nuova dipendente, fresca di laurea e di carne, il momento delle visite ambulatoriali aveva assunto un altro gusto. A detta di tutti, la dottoressa Anna Sole Amoruso aveva portato una ventata di vita in un ambiente fino ad allora fin troppo sobrio e asettico.
“ Nomen omen!” aveva subito notato l’anziano professor Lenzi, un cliente affezionato che da quando Anna Sole si era insediata dietro il banco distribuendo generosamente aspirine e sorrisi, aveva intensificato le visite adducendo come pretesto un’improvvisa recrudescenza dell’antica gastrite. Ma, con grande soddisfazione del titolare, il professore non era il solo a incrementare le vendite. Infatti un folto e trasversale stuolo di pensionati, artigiani, agricoltori e giovanotti in attesa di primo impiego, palesemente sensibili al fascino della nuova farmacista, sembravano improvvisamente bisognosi di cure urgenti e facevano la fila per acquistare farmaci contro ogni tipo di patologia. Ma quelli che capeggiavano la classifica dei più assidui erano senza dubbio il gommista d’angolo, il pasticcere e il benzinaio, che non perdevano l’occasione per richiedere consigli su sintomi imbarazzanti e malattie rare. Quanto al dottor Gecchi, nonostante cercasse in ogni modo di darsi un contegno, avvertiva ogni giorno di più un pericoloso turbamento che gli rimescolava le viscere. Era dall’adolescenza che non provava sensazioni che a quei tempi lontani uno zio prete definiva estremamente peccaminose. Ora, alzandosi la mattina, invece di pensare con rassegnazione al momento in cui sarebbe iniziata la processione dei pazienti, non vedeva l’ora di fare capolino in farmacia e di contemplare – cercando invano di non darlo a vedere – il seno prosperoso di Anna Sole che tracimava dallo scollo del camice. Da quando la ragazza era apparsa in mezzo agli scaffali in tutta la sua conturbante sensualità, il dottore aveva capito che il suo equilibrio stava vacillando e che le antiche inquietudini lungamente represse erano inesorabilmente destinate ad esplodere, mettendo a rischio un’esistenza fino ad allora vissuta nei binari di una normalità imposta e passivamente subìta. E dire che fino ad allora, in tanti anni di onorata professione, niente e nessuno aveva messo in discussione il suo stile di vita. Nonostante talvolta avesse fantasticato su come sarebbe stata la sua esistenza se il destino gli avesse fatto vincere il concorso in ospedale, si era sempre sentito gratificato dalla fiducia e dal calore umano dei pazienti che arrivavano nel suo studio con il cartoccio delle uova fresche o con il coniglio appena scannato per il dottore, grati per aver curato la pleurite della moglie o per aver amorevolmente chiuso gli occhi alla suocera ottuagenaria. Insomma, la sua esistenza sarebbe stata accettabile se l’apparizione di Anna Sole non avesse risvegliato quella sorta di desiderio perverso e ossessivo che era riuscito con fatica a tenere a lungo sopito.
Mentre l’immagine della ragazza, ancheggiante fra plantari ortopedici e pacchi di pannoloni, gli fluttuava davanti agli occhi illuminata dai fari delle auto che venivano in senso contrario, improvvisamente squillò il cellulare. – Sì?- rispose con voce scocciata il dottore, già pronto a fare marcia indietro per correre da qualche paziente tardivo. Con il “viva voce”, le parole del suo interlocutore risuonarono roche e quasi minacciose: – Allora dottore, è pronto? Non mi dica che si è scordato che stanotte c’è la luna piena … Mi pareva che fosse deciso. Guardi, se c’ha ripensato me lo dica subito e non se ne parla più. Ma ormai, visto che siamo in ballo, mi sembrerebbe il caso di ballare, no?- E qui l’uomo si lasciò sfuggire una risata che aveva qualcosa di macabro.
Il dottore esitò un attimo prima di rispondere. Intanto la strada saliva inerpicandosi lungo la collina costellata di ulivi e di villette isolate, lasciandosi alle spalle il grosso borgo illuminato, a due passi dal nastro dell’autostrada sul quale sfrecciavano veloci le auto dei pendolari di ritorno in città. Superata la curva, il Gecchi sussurrò : – Insomma Celati, ti ho detto più di una volta di non chiamarmi. Ci penso io a mettermi in contatto con te. Lo sai che sto lavorando e non vorrei che qualcuno ci sentisse. Ora sono in macchina da solo ma se ci fosse stato qualcuno con me …
- Via dottore, uno rispettabile come lei, non avrà mica paura di essere spiato? Chi vuole che sospetti certe sue … debolezze? – E qui la risata si fece addirittura inquietante.
Frattanto, il dottore era arrivato davanti alla sua villetta e, dopo aver aperto il cancello con il telecomando, entrò nel giardino: – Ascoltami bene,Celati … fai quello che devi fare e chiudiamo qui la conversazione. Sono appena arrivato a casa e non vorrei che mia moglie sospettasse qualcosa. Va bene per stanotte. Ci vediamo alle undici in punto nel posto convenuto. Mi raccomando a te, fai le cose a modo e tieni la bocca chiusa. Ah, se passi dal bar, almeno per stasera … lascia stare la bottiglia.
- Lei non si preoccupi, so quel che devo fare. Mi manca solo di dare una lucidatina allo strumento e il resto sarà una cosa da ragazzi. Si rilassi, dottore e si fidi di me!
Il Gecchi ebbe un brivido : – Va bene, voglio darti fiducia. A più tardi, Celati.
La signora Mara, che da anni recitava in maniera impeccabile il ruolo di moglie del dottore, lo aspettava sulla porta, visibilmente impaziente. Con la solita aria contrariata di chi non riesce a sincronizzare la cottura della pasta con i cronici ritardi del consorte, lo apostrofò acida: – Anche stasera scommetto che avevi l’ambulatorio pieno. E’ possibile che tu arrivi sempre in ritardo? Scusa Enrico, sembra che tu lo faccia di proposito a ritardare proprio la sera in cui esco con le amiche per il burraco.
Il Gecchi gettò la borsa sul divanetto dell’ingresso, si tolse il cappotto e si diresse verso il bagno senza replicare. La signora Mara lo seguì incalzandolo: – Non vorrei che ci fosse un motivo speciale per trattenersi fino a tardi in farmacia. Mi sbaglio o da quando è arrivata la dottoressa giovane è tutto un via vai di uomini di ogni età? Ci deve essere in giro qualche epidemia che colpisce solo i maschi, altrimenti come si spiegano tutti questi malati?
– Via, Mara … non sarai mica gelosa di quella creatura, eh? Ma non lo vedi che è una ragazzina! Ti pare possibile che un uomo serio come me perda tempo a guardare una che potrebbe essere sua figlia?
Mentre si lavava le mani con cura, il dottore cercava di conservare la calma ma, nonostante si sforzasse di mantenere un tono di voce normale, sentiva come una vibrazione oscura che gli alterava la parola. Come se il misterioso tremore che saliva dalle viscere fino al petto si propagasse fino alla gola. Una sensazione simile l’aveva provata solo una volta, quando aveva assistito alla sua prima autopsia. Il ricordo di quel bisturi che affondava con sadica precisione nelle carni esangui di una donna ignota gli era rimasto impresso nel cervello, tornando più di una volta a guastargli il sonno sotto forma di incubo. Il Gecchi era profondamente turbato: quale intima perversione gli faceva sovrapporre quell’immagine lugubre alla figura vitale di Anna Sole? Ormai incominciava a convincersi che la sua non fosse solo una passione matura ma addirittura una malattia mentale che lo avrebbe divorato in breve tempo, portandolo alla rovina. O alla dannazione, come avrebbe profetizzato lo zio prete, se fosse stato ancora vivo.
Anche a tavola, mentre gli versava il passato di verdura, Mara non la finiva di inveire contro la giovane farmacista, colpevole, a suo dire, di concupire spudoratamente la popolazione maschile del paese e di tutta la pianura fra Pistoia e Firenze: – E poi, una che si chiama Anna Sole! Il nome è tutto un programma.
– Scusa Mara, ma che male c’è? Non ci vedo proprio niente di strano. Allora anche tua sorella dovrebbe essere un po’ zoccola solo perché si chiama Maria Stella.
– Che c’entra quella santa donna di mia sorella?- replicò Mara indignata- E poi è evidente che quella fa di tutto per provocare. Ieri pomeriggio sono entrata in farmacia per comprare la crema anticellulite e per poco quel maniaco di Edo Celati non mi ha travolto. Era talmente intento a sbavarle dietro con certi occhi spiritati che non mi ha nemmeno vista. Quel tipo è davvero ripugnante. A incontrarlo di notte c’è da aver paura, specialmente in questi tempi in cui se ne sentono di tutti i colori.
– Ma che dici, Mara? Edo è un tranquillo pensionato che passa le sue giornate giocando a briscola al circolo dei preti e il sabato sera va a ballare il liscio con la moglie. E poi è anche un bravo musicista. Sempre in prima fila con il suo mandolino a suonare nella banda del paese. Già, ma tu sei una che vede maniaci sessuali dappertutto …
– Sarà come tu dici ma a me quel Celati fa proprio ribrezzo. A proposito di maniaci, hai letto il giornale di oggi?
– Non ne ho avuto il tempo. – osservò distrattamente il marito, succhiando l’ultima cucchiaiata di passato di verdura – A giro c’è l’influenza e i pazienti non mi danno pace. E’ assai se riesco a prendere un caffè. Visto che lo leggi tu, puoi farmi il riassunto, no?
- Ebbene, a distanza di tanti anni, pare che il mostro si sia rifatto vivo!
- Quale mostro?
- Ma il mostro di Firenze, no?
– Via Mara, non dire bischerate. A quest’ora il maniaco delle coppiette è morto e sepolto. Sono passati tanti di quegli anni … Ma si sa che la gente deve sempre inventarsi il mostro di turno, altrimenti non sa di che parlare.
– E invece ti dico che ci sono seri sospetti che sia di nuovo in attività. – ribatté lei indispettita – Che ti devo dire, se non è lui, sarà qualche suo nipote o qualche discepolo che vuole imitarne le gesta. E’ successo ieri notte vicino a Scandicci, con le stesse macabre modalità di quando il mostro uccideva e straziava senza pietà i corpi di quei poveri ragazzi. Per fortuna, i due fidanzati hanno fatto in tempo a darsela a gambe e a dare l’allarme con il telefonino. Pare che il mostro si fosse acquattato dietro un capanno e abbia tentato di forzare il finestrino dell’auto con un coltello affilato. Ho visto l’intervista alla ragazza al TG 3 e ti assicuro che era sconvolta. Povera anima, l’avresti dovuta sentire mentre raccontava, fra le lacrime, che aveva passato il più brutto quarto d’ora della sua vita!
- E qui Mara ebbe un brivido. Non si sa se di paura o di eccitazione.
Il dottor Gecchi incominciò a sudare. Tutte quelle chiacchiere gli davano al cervello ma quando Mara partiva era difficile fermarla. Per fortuna, dopo aver ingurgitato un paio di scaloppine con spinaci, lei si ricordò improvvisamente della partita di burraco e, dopo aver sbirciato l’orologio, si alzò in fretta e corse a prepararsi. Così il dottore poté alzarsi da tavola e andarsene sulla terrazza a fumare in santa pace il suo toscano in compagnia delle ombre degli ulivi e del lamentoso guaito di un cane in lontananza. Mentre cercava di rilassarsi gettando fuori ampie volute di fumo, lo sguardo cercò istintivamente la faccia complice della luna che si stagliava lassù in alto. Finalmente unica padrona del cielo. La voce di Mara gli giunse molesta ma distante: – Enrico, mi raccomando di chiudere bene le finestre e di mettere il paletto. Non stare in pensiero per me. Rimango a dormire da Silvia perché non mi azzardo ad andarmene in giro da sola di notte. E’ meglio essere prudenti con tutti i fattacci che succedono. E ora ci mancava anche il ritorno del mostro.
– Giusto Mara, bisogna essere prudenti. Buon burraco e … stai attenta!
Queste ultime parole, che la moglie intese come un’affettuosa raccomandazione, risuonarono sotto il portico del giardino come un inquietante avvertimento.
Il trilocale appena affittato dalla dottoressa Amoruso era situato in una vecchia colonica ristrutturata. L’idea del costruttore era quella di un residence elegante, non lontano dal paese ma, al tempo stesso, un po’ isolato e immerso nella quiete della collina. In realtà, solo tre appartamenti erano stati finiti e di questi solo uno era quello affittato. Quando Anna Sole aveva scoperto di essere l’unica abitante di quel lembo di paradiso non c’era rimasta affatto male: aveva in programma di ricevere delle visite notturne e non gradiva i pettegolezzi indiscreti dei vicini. D’altra parte, di giorno era al lavoro e di compagnia ne aveva fin troppa, mentre alla sera, le rare volte in cui rimaneva sola, si chiudeva a chiave e metteva l’allarme. La dottoressa veniva da un quartiere caotico alla periferia di Firenze e abitare in campagna, addormentandosi con il canto dei grilli invece che con il rumore delle marmitte, era sempre stato il suo sogno segreto. Un sogno che da poche settimane condivideva saltuariamente con il geometra Luca Bardazzi, imprenditore molto noto in paese ma – purtroppo – già coniugato e con prole. Anche lui era rimasto abbacinato dalle grazie della farmacista, complice una fastidiosa lombosciatalgia che lo aveva catapultato direttamente fra le sue braccia vogliose. Così – galeotto fu il Voltaren e chi lo prescrisse!- il Bardazzi divenne un assiduo frequentatore della farmacia e alla fine anche un gradito ospite notturno del trilocale isolato in collina.
I rintocchi del campanile colsero il dottore mentre usciva a piedi dal cancello della villa con un’ aria giustamente furtiva e con la lucidità artificiale che prelude solitamente le imprese più rischiose. In quello stesso momento il Celati parcheggiava la sua vecchia utilitaria in una piazzola appartata, avviandosi con fare circospetto, con l’astuccio del suo strumento in spalla e l’aspetto più torbido del solito. Ma nessuno dei due poteva immaginare che in quel preciso istante il geometra Bardazzi si stesse dirigendo proprio lì, dopo aver salutato la moglie ignara, con la scusa della partita a scacchi nella sede del Circolo degli Imprenditori della Piana (l’esclusivo CIP). Inutile aggiungere che il fedifrago professionista aveva in mente ben altre mosse che lo scacco del barbiere! E – alla faccia della lombosciatalgia – già pregustava una partita ben più esaltante, tutta giocata sul letto a una piazza e mezzo appena acquistato a IKEA dalla lussuriosa farmacista.
Mentre camminava lungo il sentiero, il dottore tentava invano di contenere l’eccitazione. Si ripeteva mentalmente che sarebbe andato tutto secondo i piani e che non c’era motivo di agitarsi. Si sa che, in certe situazioni estreme, il sangue freddo è l’unica arma vincente. Consapevole di aver ormai imboccato una strada senza ritorno, al Gecchi venne in mente un’inquietante analogia: come il dottor Jekyll, anche lui era uno stimato professionista che mostrava a tutti il suo lato umano ma, al tempo stesso, conosceva bene la “bestia” che si nascondeva in lui. E il suo lato oscuro aveva un nome che – ironia della sorte – richiamava quello del brutale “doppio” del protagonista del romanzo di Stevenson: Celati. Eh sì, a pensarci bene … Enrico Gecchi come Henry Jekyll , Edo Celati come Edward Hyde. Infatti, se ben ricordava, il nome Hyde … suona come il verbo inglese che significa “ nascondere”e Celati è come dire … Nascosti! Accidenti, perché questa incredibile assonanza gli veniva in mente soltanto ora? Forse, se avesse intuito prima questo assurdo scherzo del destino, si sarebbe potuto sottrarre a questa maledizione.“Nomen omen” avrebbe osservato il professor Lenzi, se soltanto avesse intuito il dramma interiore del suo medico di famiglia. E invece nessuno sospettava. Mentre si avvicinava alla colonica immersa nel buio, risuonarono all’orecchio del Gecchi alcune reminiscenze letterarie che aveva fino ad allora tenute nascoste in un cantuccio della mente e che ora emergevano come una lugubre profezia: – Ma l’intrinseco dualismo delle mie intenzioni gravava su di me come una maledizione, e, mentre i miei propositi di pentimento cominciavano a perdere mordente, la parte peggiore di me, così a lungo appagata, e di recente messa alla catena, prese a ringhiare … Il seguito non se lo ricordava bene ma il finale del romanzo se lo ricordava eccome! Dio mio, forse era ancora in tempo a fermarsi. Ecco, bastava tornare indietro e mancare all’appuntamento con quell’essere spregevole che era il Celati. Un essere che però, lungi da sentire estraneo, avvertiva come parte di sé. Possibile che uno come lui avesse qualcosa a che fare con un simile mostro? Ma, mentre procedeva meccanicamente verso la casa della ragazza, sentiva dentro di sé un impulso irrefrenabile ad andare avanti. Ormai non poteva più ritornare sui suoi passi. E di nuovo l’immagine dell’autopsia gli passò davanti agli occhi, in tutte le sue macabre sequenze. Fu nell’attimo in cui contemplava con occhio vitreo la lama del bisturi che affondava nella pallida carne femminile che una mano ossuta si posò sulla sua spalla facendolo trasalire.
– Allora dottore, finalmente è arrivato il momento che aspettava da tanto. E’ emozionato? Suvvia, cerchi di dominarsi e mi segua. In fondo, il compito più difficile spetta a me, non le pare?
E qui il bieco Edo emise una specie di grido gutturale che voleva essere una sarcastica risata.
Intanto, il geometra Bardazzi aveva già raggiunto la sua amante e si apprestava a godersi la sua speciale “partita a scacchi”. Nella camera appena ristrutturata che emanava un afrodisiaco odore si vernice fresca, Anna Sole, con l’ausilio di un’adeguata lingerie e di un innocente frustino, aveva appena accennato qualche preliminare quando una ventata improvvisa sbatté con violenza la persiana di laminato simil legno.
Il geometra, in boxer giallo canarino (coordinato ai calzini), si affacciò per chiuderla e, nel contemplare il paesaggio avvolto nel silenzio, non poté fare a meno di osservare : – Questo posto è fin troppo tranquillo. Non che mi dispiaccia, lo sai che la discrezione non è mai troppa. Se mia moglie sospettasse qualcosa, sarei un uomo finito. Ma ti confesso che tutto questo silenzio mi mette una certa inquietudine …
- Vuoi dire che sei più portato all’esibizionismo? – replicò lei con aria maliziosa – Ma perché non me l’hai chiesto prima? Si poteva organizzare una seratina di gruppo.
Il Bardazzi rispose con una risatina imbarazzata: – Ma che dici, Anna Sole? Io sono un tipo tradizionale e certe cose mi fanno un po’ senso …
A questo punto si mise a spiegarle nei dettagli in cosa consisteva il suo tradizionalismo.
Intanto, là fuori, le due ombre si stavano avvicinando a passi furtivi. Quando furono nell’aia, il Celati si fermò e con un gesto imperioso fece cenno al dottore di non muoversi. Quindi estrasse dall’astuccio il suo strumento. Il Gecchi sembrava ipnotizzato: la sudorazione era cessata e anche il tremore era meno intenso. Fissava estatico la finestra rischiarata appena da un pallido lume, mentre l’immagine del bisturi si affievoliva per lasciare il posto ad un rigagnolo di sangue che scorreva disegnando ampie anse sulla pelle livida della donna sconosciuta. Il Celati invece non tradiva nessuna emozione. Da esperto professionista, accarezzò il suo strumento, ispirò l’aria della notte e, con un gesto deciso, colpì la corda con il plettro appuntito. Il mandolino emise un suono struggente e, nel contempo, la voce roca e sgraziata del Celati si trasformò come per miracolo, intonando la più languida canzone d’amore: Te si’ fatta ‘na veste scullata, nu cappiello cu ‘e nastre e cu ‘e rrose…
Ora, se la serenata notturna avesse seguito le modalità classiche, la fanciulla in questione si sarebbe dovuta affacciare alla finestra e sorridere lusingata davanti a tanto romanticismo. In realtà, Anna Sole non indossava la veste scollata della famosa canzone napoletana ma era completamente nuda. E brandiva il frustino con inusitata abilità. Quindi non era il caso di affacciarsi alla finestra. D’altronde, nemmeno il Bardazzi era in condizioni di dialogare con i musicanti, dal momento che si era appena fatto convincere a sperimentare forme meno tradizionali di approccio erotico e non poteva certo mostrarsi come mamma l’aveva fatto (ad eccezione dei calzini giallo canarino) con il virile torace ferito dalle amorose fustigazioni della farmacista. Comunque, passato il primo momento di panico, il geometra si ricompose e balzando come un razzo giù dal letto dell’IKEA, si precipitò verso i suoi pantaloni, lascivamente appoggiati sulla poltroncina (IKEA pure quella). Infuriato per quella che riteneva una provocazione studiata ad arte per compromettere la sua reputazione, tirò fuori dalla tasca il revolver (regolarmente denunciato) con il quale aveva già messo in fuga tutta una serie di ladri, ricattatori e mafiosi che avevano osato più volte profanare il suo cantiere. La mira del Bardazzi, regolarmente allenata al poligono annesso al CIP, era notoriamente infallibile. O quasi. Il primo colpo sibilò a un millimetro dall’orecchio del Celati, il quale continuò imperterrito a cantare: – T’aggio vuluto bene a te … Tu m’è vuluto bene a me …
Il dottor Gecchi, invece, passato il primo momento di panico, pensò bene di darsela a gambe levate ma, proprio a due passi dalla strada, mentre tentava di aggirare la siepe di bosso, fu raggiunto al ginocchio destro da un proiettile del Bardazzi. Data la distanza e il buio, roba da record olimpico! Per poco non svenne a causa del dolore lancinante ma la forza della disperazione lo aiutò a raggiungere la strada e si defilò zoppicando sotto lo sguardo pietoso della luna piena.
Il giorno dopo, i clienti della farmacia commentavano esterrefatti la disavventura del loro beneamato medico di famiglia.
– Oggigiorno non ci si difende più dai malviventi! Prima si lasciava la chiave di casa sotto lo zerbino e ora non bastano i pitbull per difendersi!- sentenziò il dottor Rispa.
– O tempora, o mores!- gli fece eco il professor Lenzi, sbirciando voglioso lo scollo audace della farmacista, la quale sgonnellava disinvolta dietro il banco, assediata dalle occhiate del gommista, che, approfittandosi del diabete della suocera, era accorso a fare scorta di insulina. Frattanto, anche il pasticcere e il benzinaio, per non essere da meno, erano venuti ad approvvigionarsi rispettivamente di Enterogermina e di Maalox.
In quel momento entrò la signora Mara, una volta tanto fiera di recitare il ruolo di moglie della vittima. In mezzo a un capannello di compaesani solidali poté finalmente dire la sua: – Sembrava che me lo sentissi. Ero da poco uscita per andare a giocare a burraco e mi è venuto come una specie di presentimento, tanto che ho detto alla mia amica che forse era meglio che tornassi a dormire a casa. Non volevo lasciare Enrico solo, in balia dei ladri. Per questo, verso le due mi sono fatta accompagnare e, appena aperta la porta, l’ho trovato disteso sul divano con un fazzoletto insanguinato intorno al ginocchio e la faccia bianca che sembrava un cencio candeggiato. L’ho sempre detto che sono una sensitiva. Povero Enrico! Per difendere la nostra casa, per poco non ci rimetteva la pelle. Ma, nonostante fosse ferito, ha messo in fuga i delinquenti. Pare che fossero in tre. Sicuramente erano stranieri. Non c’è più sicurezza, ve lo dico io!
E, dopo aver ricevuto l’approvazione degli astanti, apostrofò amichevolmente Anna Sole con un mellifluo: – Dico bene, dottoressa? Stia attenta anche lei che abita in un posto tanto isolato. Dia retta a me, si trovi una coinquilina a modo. Oppure va bene anche un marito.
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